Fondo Fotografico Gino Montecampi

Meda negli occhi


Biografia

Gino Montecampi è nato a Seregno nel 1948, dove vive.
Ha frequentato la scuola d’arti grafiche degli Artigianelli Pavoniani e la
scuola di fotografia Paolo Borsa, entrambe a Monza. Ha iniziato a
fotografare a 19 anni. Dopo aver aderito a diversi gruppi fotografici, dal
1983 è socio fondatore del Gruppo Fotografico Alberto da Giussano di
Paina di Giussano. È vincitore di diversi concorsi fotografici.
Mostre personali: 1981 Villa Mirabellino, Monza 1984 Biblioteca Civica,
Veduggio con Colzano 1985 Biblioteca Civica, Carate Brianza 1987 Rione
Madonnina, Verano Brianza 1992 Meeting Maspero, Mariano Comense
1993 Chiostro Abbazia San Benedetto, Seregno 1994 Biblioteca Civica,
Stresa 1995 Circolo Culturale Don Primo Mazzolari, Vedano al Lambro
1996 Sala Ezio Mariani, Anniversario AIDO, Seregno 1998 Oratorio di Calò,
Besana Brianza 1999 Collegio Ballerini, Seregno 2000 Oratorio San
Giovanni Bosco, Seregno 2002 Circolo Fotografico Desiano, Incontri 17ª
edizione, Desio 2003 Associazione “Il Ritorno”, Seregno 2010 Sala Ezio
Mariani, 300 Anniversario AIDO, Seregno 2010 Penitenzieria Basilica
Minore San Giuseppe, Seregno 2011 Biblioteca Civica, Figino Serenza 2012
Ca’ di Fra, Casnate con Bernate 2013 Biblioteca Civica, Figino Serenza 2014
Sala Ezio Mariani, Seregno 2015 Chiostro Abbazia San Benedetto, Seregno
2016 Spazio Civico San Rocco, Cantù 2016 Medateca, Meda 2019 Museo
Vignoli, Seregno 2022 Casa Mazenta, Giussano 2023 Sala Civica Radio,
Meda.

Roberto Longoni si è avvicinato alla fotografia nel 1985 per documentare i suoi viaggi in giro per l’ Europa. In seguito ha iniziato a frequentare i circoli fotografici della sua zona e a seguire alcuni corsi, seminari e workshop tenuti da professionisti ( Roberta Valtorta, Piero Pozzi, Laura Losito, Mario Cresci, Edward Rozzo, Olivo Barbieri, Marco Frigerio, Annalisa Russo, Paola Riccardi, Joe Oppedisano) che gli hanno trasmesso le loro conoscenze e la passione per la fotografia: la magia del bianco e nero, le regole della composizione, la tecnica dell’inquadratura, il fascino del grande formato, il saper raccontare per immagini la storia dei grandi fotografi. Si dedica principalmente alla fotografia di concerti e rappresentazioni teatrali, oltre che al paesaggio e architettura sempre utilizzando obiettivi per la correzione della prospettiva che ritiene indispensabili, sia in digitale che in pellicola.

MEDA NEGLI OCCHI

Il primo pensiero di fronte ad un lavoro fotografico sulla città, è quello improntato alla memoria o meglio all’attività del ricordare (re-cor, riportare nel cuore). Già il filosofo Nietzsche, nel suo esplicativo saggio del 1874, distingueva tra ricordo e ricordo: la “memoria critica” da lui citata, ben si adatta a questa nostra occasione.

Il lavoro di questi due autori, non era certo né quello di documentare uno sviluppo storico/urbanistico, né un passivo sguardo “antiquario”, quanto narrare criticità che la città inevitabilmente porta con sé.

Longoni si specchia in una attualità dinamica piena di osservazioni, come appunti di riflessioni coordinate, dove l’umanità è espressa attraverso le relazioni: tra culture, tra tecnologie, tra uomo e ambiente, tra spazi e riusi. L’uomo abita la città o la subisce?

Montecampi è impegnato a soffermarsi sulla dicotomia di un passato monumentale, ma prossimo alla collettività ed un presente industriale/produttivo a volte integrato nella città, a volte isolato in aree periferiche. L’implicita domanda che sorge è se questa sia la giusta strada per un futuro sviluppo.

In mostra sono presenti altre forme di dualità: notte/giorno, interiore/esteriore, presenza/assenza, dinamico/statico.

La più evidente e scontata di queste accoppiate, quella più pregna di significati, è sicuramente l’abbinamento giorno/notte, portando con sé diverse soluzioni interpretative, da quella fisica a quella morale ed esistenziale.
Dal giorno alla notte si entra facilmente nelle dinamiche della luce e dell’ombra come metafore della vita, abilmente sfruttate dall’arte per parlare alle coscienze. L’arte e la filosofia hanno spesso ribaltato la visione positiva della luce e negativa dell’ombra, parlando di ombra e luce come elementi vicendevolmente equilibratori. L’esempio più calzante è proprio nel linguaggio fotografico dove luce/ombra si sorreggono a vicenda.

Longoni si esprime con una fotografia che si rivolge più all’interiore, all’introspezione, mentre Montecampi guarda da fuori una città enigmatica, sorpresa da uno sguardo inusitato. Entrambi mantengono un certo distacco, non entrando nelle case, nei laboratori, nelle vite quotidiane e con sottile ironia raccontano uno spaccato di momenti silenziosi.

La poetica di Longoni è un viaggio che non dimentica mai l’uomo, che è spesso cercato ed incluso nell’inquadratura anche con la tecnica del mosso. La macchina fotografica a volte si muove veloce, a volte attende che l’intuizione incontri l’azione: è una fotografia dinamica, tesa a cogliere o situazioni imprevedibili o progetti a lungo meditati. È una osservazione che esprime l’empatia dell’autore verso i propri simili, verso la città degli uomini. Queste riflessioni sottili vanno cercate con attenzione, giacché non appaiono subitaneamente. La città in questo caso è un palcoscenico dove plasticamente si mostrano le azioni, la storia ed i cambiamenti. L’attenzione al colore, che sottolinea l’elemento vitale dello scatto, ci suggerisce la modalità di lettura. Non manca l’elemento simbolico, indispensabile per parlare di critica sociale, che da solo regge l’azione e riassume e dipana concetti che vorrebbero, altrimenti, più spazi descrittivi. Semplicità e concisione si offrono per una lettura semplice e diretta, abolendo gli orpelli delle sovrastrutture che potrebbero fuorviare dallo sguardo diretto all’umano.

Gino Montecampi, rinunciando a correggere le inevitabili alterazioni del reale, che questo mezzo porta con sé, interpreta una fotografia che esalta questi scostamenti cromatici, sentendosi in questo modo più vicino al realtà. Ci troviamo dinanzi una tavolozza di colori freddi, azzurri e blu e tonalità calde, giallo arancio, propri della varietà della luce artificiale. Queste cromie, assieme a punti di vista particolari propri della fotografia a cavalletto, ci restituiscono una città inedita per i nostri occhi abituati a spostamenti veloci. Questa staticità permette di vedere, talvolta, in un unico scorcio, attimi di antico e moderno, o situazioni impossibili per il normale ritmo quotidiano. In questa modalità anche lo spettatore diviene attivo e crea a sua volta, nella sua mente, altre visioni. Infine, l’assoluto silenzio di queste riprese, evocato dall’ assenza delle persone in scena, ci avvicina a certi stranianti scenari che furono già della corrente artistica chiamata “metafisica”. Con questa assonanza, ci troviamo perciò a riflettere su temi posti oltre la conoscenza sensibile e al di là di ogni esperienza diretta: assenze meditative.

In questa esposizione, l’altra coppia di dualità, dinamico/statico, ci porta nella più recente riflessione estetica che parla di certa velocità, propria del vivere di oggi, come elemento che porta a decadimenti di valore.

La fotografia ha già in sé questa favorevole caratteristica del fotogramma fermo, che ti svincola dalla corsa perenne, portandoci alla sosta prolungata e riflessiva. Se a questo idoneo strumento, aggiungiamo la volontà di esprimere, dialetticamente, punti di vista non scontati, ci troveremo, con naturalezza, ad abitare queste immagini.

Orsi arch. Carlo       Novembre 2022